Meditazione 12 marzo 2020

GENESI 16, 1-15; PROVERBI 6, 20-29; VANGELO Mt 6, 1-6

Dopo aver parlato delle promesse di Dio fatte ad Abramo, l’autore sente la necessità di spiegare perché gli Ismaeliti, beduini nomadi del deserto arabico, pur avendo legami di sangue e di razza con gli ebrei non entrano nella linea delle promesse. Vengono presentate tre figure: Abramo il capostipite, Sarai sua moglie sterile ed Agar la schiava egiziana.  Secondo la mentalità biblica, solo Dio può dare o rifiutare la vita, la fecondazione non è solo un fatto biologico. Sarai è presentata come sterile, perché la discendenza di Abramo deve essere frutto di un intervento miracoloso di Dio. Abramo resta passivo e non aiuta la moglie ad aspettare la promessa. Sarai vive come una colpa questa sua sterilità, che l’umilia, e cerca di porvi rimedio seguendo le usanze del tempo. Sarai non sa essere serva del progetto di Adonai, e non aspetta che sia Dio stesso a farla uscire dalla sua umiliazione, secondo la figura del Servo di Isaia che si affida al Signore.

Lo farà Maria di Nazaret accettando l’umiliazione di essere creduta adultera ed aspettando da Dio la sua liberazione. Sara è doppiamente umiliata, è una conseguenza della sua disobbedienza ai piani di Dio. Sarai si rivolge al marito perché secondo il codice di Hammurabi nell’ambito familiare è il padre che deve ristabilire la giustizia infranta. Abramo abdica al suo ruolo e non ripristina la giustizia che diceva: la terra …non può sopportare …che una schiava prenda il posto della padrona. Così facendo aggiunge, però, un altro anello alla catena delle violenze. Sarai allora la maltrattò… Sarai con il permesso di Abramo risponde alla violenza con la violenza, la schiava allora scappa divenendo serva infedele che abbandona la padrona. Deve arrivare l’angelo per interrompere questo cerchio perverso di oppressori ed oppressi. L’angelo è una forma con cui Dio si manifesta, è spesso la personificazione dell’aiuto che Dio elargisce al suo popolo. Per questo non vi è sempre una distinzione chiara tra l’angelo del Signore ed il Signore stesso.  Agar viene chiamata per nome, come spesso nelle teofanie. Il colloquio tra Dio ed il fedele non è mai generico, ma sempre riferito ad una persona precisa, che viene chiamata per nome e coinvolta in un progetto che darà un significato speciale alla sua vita.  La domanda dell’angelo ha lo scopo di rendere consapevole Agar, definita la schiava, di essere fuori luogo. È la stessa domanda di Dio ad Adamo: dove sei? Adonai non ammette la violazione di un diritto. Agar deve restare presso la padrona accettando l’umiliazione/sottomissione, quindi la prova, finché il Signore lo vorrà. Obbedire alla volontà di Dio può voler dire talvolta rinnegare sé stesso. Lo ricorderà esplicitamente Gesù: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Per il momento il figlio di Agar avrà un futuro nella sicurezza della casa di Abramo, non nel deserto. La benedizione di Abramo, come predetto, arriverà anche ad Ismaele, suo figlio. Dio, che è sempre misericordioso viene in aiuto ad Agar, e le prospetta una benedizione futura, in cambio della sua sottomissione a Sarai. Il nome Ismaele significa Dio ha ascoltato. Dio ha ascoltato infatti l’afflizione di Agar l’egiziana, anche se idolatra, anche se non apparteneva al suo popolo, anche se colpevole.Agar ha la consapevolezza che Dio vede sempre l’uomo, prima che questi si accorga di lui. Per questo il nome del pozzo sarà Lacai-Roi, del vivente che mi vede. Agar si prenderà cura di Ismaele e della sua discendenza al posto di Abramo che l’aveva mandata via. Questa discendenza sarà un popolo  che non avrà la terra, e secondo il disegno di Dio rimarrà seminomade nel deserto, ma sarà un popolo apprezzato dagli Israeliti per la sua fierezza e la sua capacità di rimanere popolo libero.