Meditazione 21 marzo 2020

ISAIA 6, 8-13; S. Paolo Apostolo agli Ebrei 4, 4-12; VANGELO Mc 6, 1b-5

La fama di Gesù si era diffusa ben oltre la Galilea e aveva raggiunto persino Gerusalemme. Per questo in molti sono accorsi nella sinagoga per ascoltare le parole del loro concittadino. Tutti i presenti, nonostante lo conoscano bene, restano stupiti delle parole che escono dalla sua bocca. E si pongono anche la domanda giusta, quella che dovrebbe aprire alla fede: “Da dove  gli vengono tali cose?”. Purtroppo, gli abitanti di Nazareth si bloccano davanti al carattere ordinario della sua presenza: non è così che essi immaginano un inviato di Dio; pensano che un profeta debba avere i tratti della straordinarietà e del prodigioso, e che i suoi tratti debbano essere quelli della forza e della potenza umana. Gesù, invece, si presenta loro come un uomo normale. La famiglia di Gesù è davvero normale, né ricca né indigente. Non sembra godere di particolare stima da parte dei cittadini di Nazareth: “Non è il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” continuano a chiedersi gli ascoltatori nella sinagoga. Insomma, per i nazareni Gesù non ha assolutamente nulla che possa distinguerlo da loro. La cosa che più non riuscirono a sopportare: che un uomo come lui, che tutti conoscevano benissimo, potesse però avere autorità su di loro, ossia che pretendesse in nome di Dio un cambiamento della loro vita, del loro cuore, dei loro sentimenti. Tutto ciò non potevano accettarlo da un uomo “normale”, appunto, da uno di loro.

Ma questo è lo scandalo dell’incarnazione: Dio agisce attraverso l’uomo, con tutta la pochezza e la debolezza della carne; Dio non si serve di gente fuori dal comune, ma di persone qualsiasi; non si presenta con prodigi o parole stravaganti, bensì con la semplice parola evangelica e con i gesti concreti della carità. Il Vangelo predicato e la carità vissuta sono i segni ordinari della straordinaria presenza di Dio nella storia. Gesù a Nazareth con amarezza nota: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Se il libro dei Vangeli potesse parlare, senza dubbio lamenterebbe la solitudine in cui spesso è relegato; e avrebbe da accusare “noi di casa” per le tante volte che lo spingiamo ai margini della vita, lasciandolo muto, perché non parli e non agisca. Gli uomini di Dio, i profeti, lo sanno bene.  Questa pagina evangelica è un insegnamento salutare per ogni credente: guai a sentirsi sazi perché la sazietà porta a non sentire più il bisogno del Vangelo, guai a ridursi come i nazareni, sicuri di se stessi e delle proprie tradizioni perché questo porta ad allontanare Gesù dalla propria esistenza. Stare davanti a Dio con un atteggiamento di pretesa e non di richiesta di aiuto, significa mettersi fuori dalla sua compassione e dalla sua misericordia. Dio non ascolta l’orgoglioso, ma volge il suo sguardo sull’umile e sul povero, sul malato e sul bisognoso. A Nazareth, infatti, Gesù poté guarire solo alcuni malati: appunto, quelli che invocavano aiuto mentre passava. Beati noi se, staccandoci dalla mentalità dei nazareni della sinagoga, ci mettiamo accanto a quei malati che stavano fuori e che chiedevano aiuto al giovane profeta che passava.