Meditazione 3 aprile 2020

Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
Perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.

Nella Passione la vocazione

Mons. Mario Delpini, Omelia della Via Crucis della quarta settimana di Quaresima

Simone di Cirene, l’aiuto di uno straniero

Se Simone era di Cirene, significa che veniva dal Nord Africa. Forse è venuto a Gerusalemme in cerca di lavoro, forse non parlava bene la lingua del posto, forse era considerato uno straniero, più esposto a subire prepotenze. Ad ogni modo, secondo quanto scrive il Vangelo, è stato l’unico ad aiutare Gesù, proprio lui, uno straniero che veniva dalla campagna.

Gesù, attira tutti a sé, tutti. Per lui nessuno è straniero, tutti sono fratelli. Il modo con cui Gesù attira a sé è veramente divino: non convince promettendo vantaggi, onori, guarigioni, miracoli. Convince con la commozione che suscita perché si è umiliato fino ad essere un poveraccio schiacciato da un peso troppo grave, condannato con una condanna troppo ingiusta. Attira Simone lo straniero di Cirene attraverso la costrizione e il malumore di un’altra fatica. Ma questa fatica in più dopo il lavoro di quella mattina è per Simone una rivelazione della sua vocazione a condividere la condizione del Figlio di Dio.

Simone aiuta Gesù, senza parole, senza effusioni di sentimenti, forse anche senza capire un gran che. Ma aiuta Gesù. Gesù attira a sé rivelando a ciascuno la sua verità, la sua vocazione. Come se questo incontro dicesse a Simone lo straniero che viene dal Nord Africa: “Tu sei prezioso: ci sei solo tu che può aiutarmi. Tu sei degno di scrivere un momento della storia della salvezza del mondo. Tu sei capace di dare una mano, anche senza applausi, senza premi e riconoscimenti, senza parole, senza effusioni, senza professione di eroismo e di buona intenzioni. Considera l’altezza della tua vocazione, non sottovalutarti mai. Non dire mai: io non sono nessuno, io non valgo niente. Tu sei degno di portare la croce, di percorrere la via che Gesù ha percorso per salvarci, proprio tu, Simone, lo straniero che viene dal nord Africa”.

Veronica, custode dell’icona non dipinta da mano d’uomo

Sulla via della croce si rivela la verità di Dio in Gesù, nel suo volto che ha subito l’umiliazione e la violenza dei soldati. La Veronica che è l’icona della devozione straziata con il suo gesto di pietà trova impresso sul suo sudario l’immagine del volto di Gesù. Forse da qui prende spunto la tradizione, così suggestiva e cara alla tradizione orientale: l’icona non dipinta da mano d’uomo (akhiropita).

Nella tradizione è scritto un ammonimento: non immaginarti un dio che ti somigli, non costruire una immagine di Dio secondo le tua fantasie, non dipingere un Dio in cui proiettare le tue paure, i tuoi sensi di colpa, i tuoi desideri di rivincita, il tuo bisogno di sicurezza.

Non fantasticare di un dio che ti somigli che sia a immagine tua. Piuttosto accogli l’invito ad essere simile a Dio, riconosci che tu sei fatto ad immagine di Dio e chiamato ad assomigliare a lui, a questo Dio che non pensavi, questo Figlio di Dio fatto figlio dell’uomo e così umiliato, così umiliato; cerca di diventare simile a questo Figlio di Dio che ha salvato il mondo consegnandosi al mistero dell’iniquità che insidia il mondo.

Porti in te l’immagine di Dio non fatta da mano d’uomo, perché la storia dell’umanità, la sua grandezza e la sua miseria, non han in se stessa il suo senso, e l’umanità non si è fatta da sé, e non può salvarsi da sé. Il volto impresso sul panno della Veronica è solo per dire della verità di Dio che è scritta in Gesù, non dipinta da mano d’uomo ed è scritta in te, non dipinta da mano d’uomo.

Sulla via della croce l’umiliazione di Gesù imprime in noi la sua immagine e chiama a ricercare chi siamo, oltre le cose che facciamo, oltre il titolo con cui siamo chiamati, oltre il ruolo, oltre l’immagine pubblica, più in profondità delle nostre emozioni, più in altro dei nostri pensieri, nella stanza più segreta della nostra intimità, fin là dobbiamo andare, nell’indicibile, nella immagine non scritta da mano d’uomo, al principio stesso della nostra vita, nella relazione di cui siamo vivi: la nostra relazione con il Padre, l’insondabile mistero del nostro essere.